Translate

martedì 22 ottobre 2013

Povero, ma con una speranza

IL RACCONTO / Disoccupato e povero,
ma con una speranza: diventare uno zingaro...



Alfred si mise la coperta sulle spalle. L’inverno, di quel decimo anno di crisi, fu particolarmente rigido. Il riscaldamento era ormai solo un lontano ricordo.  Rimasto disoccupato, come milioni di altri italiani, sopravviveva con gli ultimi risparmi che gli erano rimasti.  In quei giorni era particolarmente disperato. Gli  era giunta la cartella dell’Imu. Se non avesse pagato, sapeva, che  avrebbero messo l’ipoteca sulla casa. Il primo passo verso l’esproprio.Il pensiero del pagamento lo angosciava. Uscì per andare a comprare qualcosa da mettere sotto i denti. Lungo la strada incontrò Maria, una zingara della quale era diventato amico. Nei giorni felici, le aveva allungato qualche euro e lei non se n’era dimenticata. Tutte le volte che lo vedeva gli andava incontro, sorridendogli.
 «Come andare oggi?».
«Male, Maria. Soldi  sono finiti ed io devo pagare le  tasse della casa...».
«Noi non pagare tasse...», disse la zingara ridendo.
«Io non sono zingaro come te e devo pagare...».
«Tu vuoi diventare zingaro? Vuoi?».
«Magari!» rispose Alfred con un sorriso amaro.
«Allora tu venire con me da mio capo di campo».
Alfred rise alla proposta.
«Tu non credere? Venire con me...» gli disse prendendolo per un braccio e quasi trascinandolo.
 Per strada molta gente guardò con approvazione la coppia mista.
Arrivarono nella zona della stazione centrale. Lì Maria si avvicinò ad un mendicante e iniziò a confabulare con lui. Poi, chiamò Alfred che era rimasto in silenzio a osservare la scena.
«Vieni... Questo è mio capo del campo. Adrian. Vieni...Non avere paura...».
Adrian  guardò l'uomo. Poi si massaggiò il mento coperto da una fitta barba grigia incolta. Parlò a lungo con Maria. Lei assentì e poi lo salutò.
«Fatto!», gli disse sorridendogli.
«Fatto cosa?», chiese Alfred preoccupato.
«Tu potere diventare zingaro come me. Capo dire me che se tu dai 3000 euri, lui può avere documenti da Romània e tu diventare come noi...».
«Tremila euro? Ma è tutto quello che mi resta!».
«Sì ma tu dopo no più problemi. No più tasse... avere soldi per vivere... Capisci? Vuoi?».
«Maria ci penserò...». La salutò e rientrando a casa iniziò a pensare alla proposta.
Si diede dell' imbecille: «Quelli si prendono i soldi e poi se ne vanno!».
Poi pensò che Maria, in fondo, la conosceva da anni. Improbabile che lo volesse truffare. Andò a letto e anche se la cosa gli sembrò folle, pensò ai pro e i contro della proposta.
Ma ciò che gli fece cambiare idea fu la lettera dell’Agenzia delle Entrate che trovò nella cassetta della posta la mattina seguente. Per  una omessa dichiarazione dei redditi gli venivano chiesti 15.000 euro di penale. Se non avesse pagato entro novanta giorni, la casa gli sarebbe stata confiscata e sarebbe finito alla galera.
Questo era troppo!
«Maledetti!».
Uscì come una furia. Fuori una folla di dimostranti  con bandiere rosse stava sfilando per le strade urlando contro il nuovo nemico pubblico: “l'EVASORE”. I manifestanti chiedevano al governo delle larghe intese pene più severe contro questo nemico invisibile.
Un’abile regia mediatica faceva sì che  ogni peggioramento della crisi economica e sociale venisse imputato all’EVASORE. La polizia fiscale fece in quegli anni rastrellamenti a tappeto, ma di evasori veri e propri negli ultimi tempi ne erano rimasti  pochissimi. Il governo, tuttavia non lo diceva. Anzi gonfiava le cifre dell'evasione , facendole arrivare addirittura alle dimensioni del debito pubblico. Questo manteneva vivo l’odio della gente contro questo nemico misterioso e inafferrabile e incanalava la rabbia popolare verso altri obiettivi. Quando ne veniva preso uno, tutti i Tg e i giornali ne parlavano con toni trionfali. L’ultimo  arrestato in ordine di tempo,  era stato un barista. Non aveva fatto lo scontrino fiscale. Processato in Tv nella celebre trasmissione “Il Processo in Direttissima” davanti ad parterre di spettatori inferociti, era stato condannato a quindici anni di lavori forzati e al sequestro di tutti i beni.
Incontrò Maria al solito angolo.
«Andiamo dal tuo capo. Ci sto!» le disse.
 La donna lo prese a braccetto e si avviarono da Adrian il mendicante.
 Lo trovarono al solito posto.
«Portato denaro?».
«Sì» rispose Alfred allungandogli una busta.
 Adrian disse qualcosa alla zingara. Poi sempre tenendolo a braccetto, Maria lo condusse via.
 Presero un autobus. All’interno una donna non appena vide la zingara si alzò di scatto in piedi e, in obbligo alle recenti leggi emesse dalla ministra dell’Integrazione Kabobo-Kiengu sul comportamento che gli italiani dovevano tenere verso i migranti, le cedette il posto a sedere. Nell’autobus, in piedi c’erano solo “bianchi”.
«Visto?» disse Maria sorridendo ad Alfred. «Noi avere tutte comodità».
Alfred  abbozzò un sorriso.
 Arrivati al campo, una folla di bambini sporchi e scalzi corse loro incontro.
 Maria parlò con una vecchia con una bandana e che fumava una pipa. La vecchia guardò Alfred benevolmente.
«Ora tu, stare qui per qualche tempo. Imparare un po’ nostra lingua. Fra una settimana tu andare in Romània a prendere documenti. Intanto cambiare vestiti...».
Fu portato in una roulotte dove gli furono dati indumenti raccolti in qualche contenitore della Caritas.
 Qui venne a sapere da altri zingari, che non era il primo a “morire” e poi “rinascere” nomade. A quanto capì, già altri lo avevano preceduto su questa strada.
 Nei giorni seguenti  visse nel campo cercando di imparare il più possibile degli usi e consuetudini dei nomadi. Maria e gli altri cercarono di insegnargli i rudimenti dell’accattonaggio e di come porsi di fronte agli indigeni.
Ma giunse il tempo di andare in Romania.  Con lui partì uno zingaro che avrebbe dovuto introdurlo nella  comunità rom di Bucarest. Salì sul servizio di pullman Atlassib che faceva la spola fra l’Italia e la Romania. Il “corso” di nomade sarebbe dovuto durare due mesi.
Furono settimane molto dure per lui. Dovette sottoporsi a prove durissime e privazioni inaudite. Fece anche un corso di borseggio e uno di taccheggio. Imparò quanto bastava della lingua e dei segni. Il suo aspetto e il suo modo di porsi, con il passare dei giorni, cominciò a somigliare straordinariamente a quello dei suoi ospiti. Arrivò infine il grande giorno. Il capo della comunità gli consegno i documenti contraffatti. Da quel giorno si sarebbe chiamato Younas Lupescu, nato a Cluj, di professione calderaio. Era un’altro. Alfred  T. era scomparso definitivamente.
 Il neo-nomade tornò nella sua città. Si presentò alla “Commissione Accoglienza” dove gli fu dato il benvenuto e dove venne ricevuto con tutti gli onori. Gli fu offerta una cifra di denaro e una tessera annonaria per superare le difficoltà dei primi tempi ed ambientarsi e gli fu dato un libriccino dove erano elencati in due lingue (italiano e rom) tutti i suoi diritti.
 Alfred-Younas rientrò nella sua casa. Gli era mancata terribilmente. Accarezzò i libri della sua libreria e si guardò intorno. Tutto era rimasto come il giorno in cui entrò nel campo rom. Di lì a qualche giorno sarebbero venuti gli ufficiali della Polizia Fiscale a far sloggiare Alfred, ma avrebbero avuto una sorpresa.
Dietro suggerimento dei suoi amici zingari, cambiò la disposizione del suo appartamento. Lo riempì di stracci e di vecchi copertoni di macchina, bottiglie vuote, rottami e cianfrusaglie. Fece sparire  libri , oggetti personali, abiti, foto e quant’altro  ricordasse il vecchio proprietario in cantina.
Venne il giorno fatidico. Due agenti della Fiscpol (polizia fiscale) suonarono alla porta. Younas-Alfred andò ad aprire.
«Lei è il signor Alfredo T. ?».
«No, mio nome è Younas Lupescu...».
«Ma questa non è la casa dell’evasore Alfredo T.?» chiese uno dei poliziotti.
«Io non sapere, signore...» rispose Alfred-Younas porgendo i documenti.
«E cosa fate qui in questa casa?!».
«Io occupare. In base a vostra legge 127 , articulo 5 de vostre leggi, noi migranti potere occupare case. Scritto qui su librettu...».
«Ma avete il nulla-osta firmato dal commissario per le case ai migranti?».
«Si signure. Tuttu in regula...», disse porgendogli un altro foglio.
I poliziotti controllarono. Il “nomade” aveva detto il vero.
«Le chiediamo umilmente scusa signor Lupescu. Evidentemente ci deve essere stato un errore. Non ci avevano avvertiti di questo cambiamento. Le porgiamo di nuovo le nostre scuse...».
«Momento signor, ma se tornare padrone de casa che fare io?».
«Ci chiami immediatamente che lo sbattiamo in galera. Comunque non si preoccupi. L'evasore sarà scappato all'estero, ma lo prenderemo. Spiccheremo oggi stesso un mandato di cattura internazionale... Lei viva tranquillo nella SUA casa. Nessuno la importunerà più. Arrivederci e ci scusi di nuovo!».
Alfred rimasto solo si fregò le mani. «Funziona!!!» disse fra sè. «E ora al lavoro!».
 La Commissione Migranti gli aveva affidato uno spazio pubblico dove mendicare. Si mise una vecchia giacca rattoppata e raggiunse la sua postazione. Appoggiandosi ad un bastone finse un’invalidità alla gamba. La gente che passava, in base all’ordinanza del Ministero dell'Accoglienza era obbligata a versare un obolo, seppur minimo (10 centesimi). Se qualcuno si fosse rifiutato, il mendicante poteva chiamare i poliziotti di ronda e denunciare il contravventore come “evasore”. Al termine della giornata, contò l'incasso: 63,40 euro. Non male come inizio
 Quella vita cominciò a piacergli. Terminato l’accattonaggio entrò in un grande supermercato dove, dopo essersi riempito i tasconi interni della giacca di merce , uscì con una bottiglietta di acqua minerale. La cassiera si accorse della merce nascosta sotto il vestito, ma sempre in base alle norme sull’Accoglienza, fece finta di niente . L’articolo 6 sui diritti dei Migranti, prevedeva infatti il diritto di “appropriazione gratuito” ai migranti. Alfred Younas lesse però sui volti di coloro che facevano la fila alle casse, un sordo risentimento. Capì che al di là del buonismo imposto per legge, qualcosa covava nell’animo della gente comune.
 Qualche mese più tardi, Younas-Alfred fu contattato da Maria per strada.
 «Tu stare attento. Pulizia arrestato falso rom...stare attento...».
 La notizia era vera. I tg della sera dettero grande risalto all’accaduto: «Evasore si spaccia per rom bosniaco. La polizia fiscale lo arresta e lo sottrae alla rabbia popolare. Sfiorato il linciaggio». Subito dopo le Tv trasmisero il processo. In uno studio televisivo tre giudici e una folla inferocita accolsero con urla e insulti il disgraziato. L'uomo confessò la sua colpa, appellandosi alla clemenza della corte. Un televoto istantaneo lo condannò ai lavori forzati a vita.
 Younas-Alfred, decise di fare attenzione e di esporsi il meno possibile. Che qualcosa fosse cambiato lo constatò il giorno dopo. Alcuni poliziotti lo avvicinarono e gli chiesero i documenti. Era la prima volta che accadeva. Una  giovane donna che passava per strada però li apostrofò con decisione.
Era un’appartenente ai Comitati AST (Accoglienza Solidarietà Tolleranza), lo si capiva dalla fascia arancione  che portava al braccio.
«Compagni agenti, non si trattano così i nostri fratelli migranti!».
«Compagna, facciamo solo il nostro dovere...».
 «Io sono la presidentessa del Comitato AST del Quartiere. Conosco perfettamente le leggi. Voi non potete chiedere i documenti mentre il signore sta ancora lavorando. La legge parla chiaro. Lo potete fare solo quando smonta dal lavoro!».
Ipoliziotti in effetti non avrebbero potuto agire in quel modo. Si scusarono e si allontanarono.
 La donna proseguì, ma Alfred vide nel suo nuovo status l'opportunità di vendicarsi dei buonisti che detestava con tutte le sue forze. La seguì e con voce lamentosa iniziò a chiedere l'elemosina.
«Per favore, dare soldi, bambini no mangiare..». La tizia, colta in castagna dovette allungargli un euro.
«Ancora per favore. Essere poco per mangiare».
«Basta, ti ho dato un euro!»
 Younas-Alfred iniziò ad insistere in modo pesante, giungendo perfino a molestarla. Voleva in tutti i modi suscitare la sua reazione.

«Metti giù le mani sporco zingaro!», urlò la donna.
 Il falso nomade a quel punto con una mossa repentina strappò la borsa alla donna, e iniziò a correre. La donna cadde a terra iniziando ad urlare istericamente. I due poliziotti che erano nelle vicinanze accorsero, bloccando Younas-Alfred.
«Mi ha scippata e molestata!», urlò la donna scossa da brividi di indignazione. «Arrestatelo!»
 I poliziotti lo bloccarono e stavano per mettergli le manette.

«Non arrestare me. Lei! Io chiedere solo soldino e lei avere detto me, sporcu zingaro di merda...»
 La donna sgranò gli occhi e impallidì: «Ma.. ma... non è vero! Mente!!!»
«Signora, lei lo sa che per legge vale più la parola di un migrante che quella di un italiano?», disse uno dei poliziotti.
«Sì, ma io quelle parole non le ho pronunciate. Ve lo giuro!...»
 «Lei avere detto me sporcu zingaro di merda!». Ribadì il falso rom mentre  sottilissimo sorriso velenoso gli disegnò la bocca.
 Nonostante la donna professasse la sua innocenza, fu immediatamente arrestata e portata via da una volante, mentre un capannello di persone commentò negativamente l'atto di xenofobia  solidarizzando con Alfred-Younas.
La legge parlava chiaro: secondo l'art. 655 del Nuovo Codice Penale comma 3bis in caso di conflitto fra un italiano e un migrante, la parola del migrante era quella che prevaleva. A meno che non ci fossero 150 testimoni pronti a scagionare il nativo.
 I media e i giornali si gettarono come cani famelici sul caso di xenofobia. Younas-Alfred, la vittima dell'episodio, divenne famosissimo: interviste, partecipazioni televisive, manifestazioni e tavole rotonde lo videro come ospite d'onore. Santoro e Gad Lerner se lo contesero a suon di soldoni. Venne il giorno del teleprocesso: milioni di ascoltatori si incollarono al video. La donna fu portata nella gabbia degli imputati in catene. Era visibilmente dimagrita e pallida. La folla l'accolse con cori e slogan contro la xenofobia e il razzismo, chiedendo per lei una pena esemplare.
 Il Telepresidente della corte, con la formula di rito, le chiese se si dichiarava colpevole o innocente. La prigioniera, ad occhi bassi, si dichiarò colpevole e confessò il suo delitto, offrendo alle telecamere il volto rigato da lacrime, segno di un profondo e sincero pentimento.
«La Corte deciderà, ma prima, come prevede il Nuovo Codice Penale-Televisivo, la parola va alla vittima di questo disgustoso episodio di razzismo!», disse il Presidente, invitando il falso nomade salire sul Podio delle Vittime.
«Iu, non essere vendicativu. Noi ròmi volere amore nel mondo. Fratellansa. Volere tutti bene. Capitu? Noiu, tutti frateli. Per questo, io ritirare mia denuncia contro la signora rassisda...».
 La donna nella gabbia, sollevò la testa e il velo di tristezza che le copriva gli occhi si squarciò. Un boato rimbombò fra le pareti di cartongesso della sala tribunalizia televisiva. Il conduttore della trasmissione, con voce rotta dalla commozione, esaltò il generoso gesto del falso rom. Il televoto impazzì. Milioni di messaggi arrivarono ai terminali del tribunale, tutti esaltanti il "generoso migrante", "Younas il buono", "Younas il magnanimo".

Il Capo del Governo, accompagnato dal ministro dell'Integrazione Kabobo Kienghu, in una dichiarazione a caldo, esaltò il gesto di immensa generosità di Younas, contrapponendolo all'egoismo che ancora covava fra i nativi. «Tutti dovremmo - tuonò - seguire l'esempio di questo povero migrante dal cuore gonfio di altruismo! Italiani, prendetelo come modello!»

Nei giorni che seguirono, la "vittima" fu oggetto dell'attenzione della, politica, della cultura e della comunicazione. Un noto regista iniziò a girare il film della sua vita. Altri scrissero sceneggiature teatrali, e biografie sul suo "viaggio della "speranza", sulla sua permanenza in Italia, e sulle sue esperienze di migrante, etc. Ma fu la politica che gettò il suo occhio interessato su di lui. Il Ministro dell' Accoglienza e Integrazione, lo volle come consulente personale nel suo staff. Anche il sindaco di Milano, Pisapippa, lo chiamò come Commissario Straordinario all'Accoglienza. Fu in questo periodo che a Younas-Alfred iniziò a maturare nella sua mente un piano  maligno e devastante. Sapeva che tanta  gente, ingabbiata nel carcere mentale del "politicamente corretto" odiava il  sistema. Comprimeva la propria rabbia, sfogandola fra le mura domestiche o all'aperto, dove non poteva essere ascoltata. Fuori no. Fuori, per il terrore di essere additata come egoista e xenofoba, dava prova di buonismo senza se e senza ma. Il progetto che Younas stava meditando, avrebbe fatto da detonatore. Il sistema sarebbe esploso.

La carriera politica di Younas-Alfred fu fulminante. Fu votato in massa dai migranti, che grazie alla legge Kabobo Kienghu-Vendola ebbero riconosciuto il diritto di voto non appena mettevano piede sul suolo italiano. Il Ministro all'Accoglienza e Integrazione lo chiamò a sè dandogli la presidenza della potente Commissione Pro-Migranti e la delega a presentare programmi e testi di legge  da mettere subito al voto, bypassando ogni discussione parlamentare.
 Fu in questo periodo che il falso nomade completò la stesura del progetto che passò sotto il nome di "Soluzione  del Problema dei Migranti".

Andò dal Ministro Kabobo Kienghu e accennò, in termini sommarii alle linee della sua riforma.
«Prima de tutto tu ministra  fare e dare me  lista de italiani bonisti che volere migranti; poi lista de Associazione como Caritate, Gruppo Abele, Prete de Estrada del don Gallo, Santegidio etzetera. ok?».
«Non è un problema», rispose la ministra. «Abbiamo i nominativi di tutti coloro che versano l'8 per mille alle Associazioni Riunite per l'Accoglienza...»
«Bono! Allora tu fame avere tutta documentazioni. Settimana che viene io parlerò a Camera de questo grande progettu. Sarà una novitate en tutta Europa. Tutti envidiare nostro grande paese!»
«L'importante cher Younas è che questa riforma sia a costo zero. Come sai non ci sono più soldi...»
«Tranchilla compagna ministra, riforma è a costu zero!»
 L'attesa della seduta fu enorme. I media, parlarono senza sosta di questa novità legislativa. La curiosità crebbe giorno dopo giorno. Fu preparata una diretta no-stop.
 Venne il giorno. Il Presidente Sboldrini dichiarò aperta la discussione e invitò a parlare della proposta il relatore: Younas-Alfred.

Il falso rom iniziò.
«Cari collega de Parlamentu. Milioni de migrante vivono en condizione desperate. No mangiare, no bere, no casa. Questo essere grande vergognanza per populo italiano (applausi scroscianti) Non sentire voiu grido de dolore che se alza da campi de nomadi e da Centri de Accoglienza Provvissoria? Io avere visto che quattro milione de italiani dare 8 per mille a Accoglienza. Bonu! ma questo non bastare più. Ci volere più solidarietate... (applausi fragorosi) da parte de cittadini, de associazioni e de voi politici. Tutti politici. Ecco mea proposta:  ogni familia de bonisti italiani che amare migrante prenderà in sua casa, dando vittu e alloggiu, e tutto quelo che serve loro, una o due familie rom o marucchina etc; ogni associazione prenderà in propie struttura 100 famiglie de migranti; ogni politicu accollierà 3 familie migrante in sua casa e villa i dovrà pagare mangiare, bere i vestimenti. Anco Quirinala e Vaticanu fare accoglienza. Questa è mia proposta. Presidentu Sboldrinu, por favore, mettessi ai voti proposta!».
 Un silenzio gelido calò sulla Camera, rotto solo da un timido applauso. La Presidentessa Sboldrini, terrea in volto aprì la votazione a voto palese.
Poi con voce impercettibile farfugliò: «La Camera approva all'unanimità...»
Nei giorni successivi milioni di extracomunitari entrarono nelle case, nelle ville e nei casali dei buonisti e delle anime belle. Anche la Caritas e le altre organizzazioni di volontariato laico e religioso furono invase da centinaia di migliaia di extracomunitari. Il Vaticano e tutti i palazzi vescovili e i seminari furono occupati da torme di nordafricani, in maggior parte islamici.
 Tutto il clero fece buon viso a cattiva sorte.
 Gli occupanti, secondo la legge Younas-Kabobo Kienghu avevano il diritto di condividere tutto nelle case: cibo, denaro, vestiario. Molti occupanti interpretarono questa legge in modo estensivo, entrando nelle camere da letto degli ospitanti. La legge infatti invitava tutti a «rendere il soggiorno nelle case il più piacevole possibile e  non negare alcunchè agli ospiti».
 Una quindicina di giorni dopo, accaddero però alcuni fatti, giudicati dal governo, preoccupanti. La presidentessa della Camera  Sboldrini, che aveva dovuto accogliere tre famiglie di congolesi, uscì per strada stravolta.
 Fu vista con indosso una camicia nera. Fu fermata da una ambulanza della neurodeliri mentre urlava a squarciagola: «Duce! Duce!».
 Fu ricoverata nel reparto agitati e subito sedata.
 Santoro che ebbe la villa riempita da equadoregni e capoverdiani, fu visto marciare al passo dell'oca nelle vie di Napoli a braccetto a Sandro Ruotolo e Vauro. Tutti e tre furono uditi urlare frasi sconnesse dal sapore razzista.
 Ma l'episodio che fece esplodere la situazione avvenne però a Milano.
 Il sindaco Pisapippa e la sua compagna, dovettero ospitare una dozzina di giovani baldi marocchini.
 Dopo due settimane di vessazioni e violenze, il sindaco uscì dal suo palazzo, nel centro di Milano. Indossava una camicia verde, cravatta nera e il simbolo del Sole delle Alpi al braccio; pantaloni neri e stivali lucidissimi. Improvvisò un comizio per strada, inneggiando alla superiorità della razza ariana.
 Fu l'inizio della Rivoluzione di Maggio.
 La notizia del comizio xenofobo di Pisapippa si sparse in tutta la città  e nei salotti della borghesia illuminata e progressista. Migliaia di ex-buonisti,  incazzatissimi, invasero le strade e le piazze inneggiando alla legge Bossi-Fini e chiedendo a gran voce nuove leggi razziali. Poco dopo si videro migranti volare dalle finestre, scappare dai giardini e fuggire dai tetti.
 L'incendio scoppiato a Milano dilagò inarrestabile  in tutto il paese. Nei giorni seguenti si videro file bibliche migranti ai porti, agli aeroporti e ai confini. Un nuovo governo rivoluzionario, preso il potere, nazionalizzò le banche, ripristinò la sovranità nazionale, denunciò il trattato atlantico e fece sgomberare le basi Nato. L'Europa seguì l'esempio italiano. Una nuova Europa nacque dalle ceneri della Ue.

Appendice:
Younas-Alfred, ricercato riuscì a fuggire in Romania, ma, prima di far emanare la Legge sui Migranti che portava il suo nome, scrisse un memorandum sulle vere finalità della sua azione, affidandolo ad un notaio. Quando la verità venne fuori, Alfred, fu riabilitato e proclamato "Salvatore della Patria".
Molti dei protagonisti politici del passato regime delle larghe intese (Kabobo Kienghu, Vendola, Renzi,  Alfano,  Riccardi e tantissimi altri) furono "arruolati" nelle brigate  "Gioia del Lavoro" e inviati nelle campagne a dissodare la terra e nelle cave a spezzare pietre. Ancora oggi dopo vent'anni   dall'inizio della Rivoluzione, sono a zappare e picconare la roccia con lo stesso indomito entusiasmo e ardore.


Alfio Krancic

Nessun commento:

Posta un commento