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domenica 2 dicembre 2012

SANDRO PERTINI


Alessandro Pertini è nato a Stella (Savona) il 25 settembre 1896.
Laureato in giurisprudenza e in scienze politiche e sociali.
Coniugato con Carla Voltolina.
Ha partecipato alla prima guerra mondiale; ha intrapreso la professione forense e, dopo la prima condanna a otto mesi di carcere per la sua attività politica, nel 1926 è condannato a cinque anni di confino.
Sottrattosi alla cattura, si è rifugiato a Milano e successivamente in Francia, dove ha chiesto e ottenuto asilo politico, lavorando a Parigi.
Anche in Francia ha subito due processi per la sua attività politica.
Tornato in Italia nel 1929, è stato arrestato e nuovamente processato dal tribunale speciale per la difesa dello Stato e condannato a 11 anni di reclusione.
Scontati i primi sette, è stato assegnato per otto anni al confino: ha rifiutato di impetrare la grazia anche quando la domanda è stata firmata da sua madre.
Tornato libero nell'agosto 1943, è entrato a far parte del primo esecutivo del Partito socialista. Catturato dalla SS, è stato condannato a morte.
La sentenza non ha luogo. Nel 1944 è evaso dal carcere assieme a Giuseppe Saragat, ed ha raggiunto Milano per assumere la carica di segretario del Partito Socialista nei territori occupati dal Tedeschi e poi dirigere la lotta partigiana: è stato insignito della Medaglia d'Oro.
Conclusa la lotta armata, si è dedicato alla vita politica e al giornalismo.
E' stato eletto Segretario del Partito Socialista Italiano di unità proletaria nel 1945. E' stato eletto Deputato all'Assemblea Costituente.
E' stato eletto Senatore della Repubblica nel 1948 e presidente del relativo gruppo parlamentare.
Direttore dell'"Avanti" dal 1945 al 1946 e dal 1950 al 1952, nel 1947 ha assunto la direzione del quotidiano genovese "Il Lavoro".
E' stato eletto Deputato al Parlamento nel 1953, 1958, 1963, 1968, 1972, 1976.
E' stato eletto Vice-Presidente della Camera dei Deputati nel 1963.
E 'stato eletto Presidente della Camera dei Deputati nel 1968 e nel 1972.
Dopo il fallimento della riunificazione tra P.S.I. e P.S.D.I,. aveva rassegnato le dimissioni, respinte da tutti i gruppi parlamentari.
E' stato eletto Presidente della Repubblica l'8 luglio 1978 (al sedicesimo scrutinio con 832 voti su 995). Ha prestato giuramento il giorno successivo.
Ha rassegnato le dimissioni il 29 giugno 1985: è divenuto Senatore a vita quale ex Presidente della Repubblica.
E' deceduto il 24 febbraio 1990.




PERTINI: PICCOLO UOMO, GRANDE IMPOSTORE.
Nella “repubblica nata dai valori della resistenza” è consuetudine più che consolidata considerare uomo retto,  ammirevole e addirittura eroico chiunque si sia dichiarato contrario al governo mussoliniano. In questo Paese l’antifascismo è condizione necessaria e sufficiente per un riconoscimento, per un attestato di stima. Un dato che la dice lunga sulla consistenza della cultura e della politica impregnate dai valori della resistenza, (che poi non si è mai capito quali siano). Non hai nulla da dire o da proporre? Non importa; conta solo essere antifascista, demolire e non costruire.
E’ il caso di Sandro Pertini, un “eroe della resistenza”, praticamente un santo in terra nell’Italia del secondo dopoguerra. L’hanno definito addirittura “il Presidente di tutti gli italiani”.

Signori, per favore, siamo seri! Non dico sempre, ma almeno una volta tanto.  Non magnifichiamo qualcuno che non ha avuto meriti particolari, se non l’astuzia di cavalcare la cresta dell’onda antifascista.
Chi era infatti costui? Le cronache della sua gioventù lo descrivono come un attivista, un agitatore sociale sempre pronto ad alimentare il fuoco dell’odio politico e di classe, in un’epoca già piuttosto violenta di suo, (mi riferisco in particolare al “Biennio Rosso”). Vedere per credere!
Nel 1924 fu condannato alla pena detentiva per stampa clandestina, oltraggio al Senato e lesa prerogativa regia, fattispecie previste dal codice Zanardelli, (codice sabaudo, non fascista, che verrà modificato da Mussolini solo dal dicembre 1925). Non contento della condanna ricevuta, continuò  la sua attività, sino a guadagnarsi il confino previsto dalle “leggi fascistissime”.  Esiliato, rientrerà in Italia: nuovo processo e nuova condanna. Alla difesa in Tribunale, preferì dare spettacolo rifiutando le lettere della madre, scritte in sua difesa.
Ma è dopo il carcere che Pertini diede il “meglio” di sé. 
Partecipò alla resistenza, raggiungendo i vertici del C.L.N. . Alla testa dei suoi uomini provocò un’orgia di sangue: condanne capitali,(più di quelle comminate a seguito della reintroduzione della pena di morte durante il Fascismo), esecuzioni sommarie ed eccidi.
Non va dimenticata poi via Rasella, che Pertini non fece nulla per evitare. Su quei fatti disse: « Le azioni contro i tedeschi erano coperte dal segreto cospirativo. L'azione di via Rasella fu fatta dai Gap comunisti. Naturalmente io non ne ero al corrente. L'ho però totalmente approvata quando ne venni a conoscenza. Il nemico doveva essere colpito dovunque si trovava. Questa era la legge della guerra partigiana. Perciò fui d'accordo, a posteriori, con la decisione che era partita da Giorgio Amendola» . Insomma, che importa se si trattavano di poliziotti tornati da un addestramento e, come tali, probabilmente male armati, se non completamente disarmati. L'importante era uccidere, sterminare. 
Come se non bastasse, conferì a Bentivegna, (autore materiale dell’attentato), la medaglia d’oro al valor militare. 
L’atrocità, l’idiozia e l’assurdità della scelta è sottolineata dalla reazione che provocò in Giuseppe Palumbo, generale della Folgore, rimasto fedele al Re dopo l’8 settembre. Quando seppe della consegna della medaglia a Bentivegna, Palumbo restituì al presidente tutte le sue medaglie (ed erano parecchie). Evidentemente, essere accomunato a certi criminali lo offendeva…
Nel curriculum di Pertini, però, alle atrocità d’armi si uniscono quelle civili. Appena eletto Presidente, nel 1978, “concesse la grazia a quel Mario Toffanin, nome di battaglia «Giacca», che nel 1954 la Corte di Assise di Lucca condannò all’ergastolo (in contumacia, perché Botteghe Oscure riuscì a farlo riparare in Jugoslavia). Quel Toffanin che da capo partigiano della Brigata Osoppo si era aggregato, dandogli manforte, al IX Corpus titino responsabile delle foibe e che fu protagonista della strage di Porzûs. E che oltre all’ergastolo per i fatti di Porzûs avrebbe dovuto scontare anche trent’anni per sequestro di persona, rapina aggravata, estorsione e concorso in omicidio aggravato e continuato. Un criminale fatto e finito, dunque, al quale lo Stato, grazie alla famigerata «legge Mosca», elargiva persino la pensione[1].
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Ciò che crea più sdegno, tuttavia, è senz’altro la vicenda legate alleFoibe. Il silenzio di Pertini fu vergognoso e connivente. Mentre migliaia di Italiani cadevano, vittime della ferocia comunista, lui contribuiva  a sostenere il muro dell’omertà e la congiura del silenzio. E dire che, (come denunciato più volte dall’encomiabile prof. Marco Pirina), il governo di quegli anni, oltre a ricevere Tito a Roma, pagava addirittura milioni di lire perché la Jugoslavia trattenesse nelle sue galere i nostri prigionieri. Addirittura,  lo Stato Italiano eroga tutt’oggi la pensione, con reversibilità del 100%, agli esecutori materiali degli “infoibamenti”.

Come mai Pertini, (né alcuno di quelli che l'hanno preceduto), non disse nulla di tutto ciò? Semplice: era un socialista di sinistra ed un acceso antifascista; evidentemente condivideva l’operato slavo. Ipotesi che viene avvalorata da ciò che Pertini fu capace di fare durante il funerale del Maresciallo Tito: partecipare in maniera assolutamente commossa, baciando il feretro del boia di migliaia di veri Italiani e la bandiera slava, sotto la quale essi erano stati massacrati.
UNA VERGOGNA INFINITA!
In molti lo ricordano per il Mundial 1982 e per la sua partita a scopa con Bearzot. Spero che almeno abbia vinto quella partita: sarebbe l’unica cosa degna della sua vita!
Prima di lasciarvi, vi allego un articolo tratto da “La stanza di Montanelli”. Lo ritengo un’autentica chicca che dimostra, ancora una volta, l’assoluta faziosità e la leggerezza con cui si insegna la storia in Italia. Buona lettura.
Roberto Marzola.



LA STANZA DI MONTANELLI
Pertini? Sono altri i grandi d' Italia
Caro Montanelli, Rilevo con disappunto come la figura di Sandro Pertini sia stata rimossa dalla memoria degli italiani e dei loro degni rappresentanti politici. Solo il Corriere, se non sbaglio, gli ha dedicato ultimamente un servizio su Sette. Perche' tutto ciò? Vorrei da lei inoltre un giudizio su quest'uomo che personalmente stimo degno di ben altra considerazione. Fabio Mazzacane, Pistoia
Caro Mazzacane, Lei ha bussato alla porta sbagliata. Dalla memoria degl'italiani sono stati rimossi gli Einaudi, i De Gasperi, i Saragat, i La Malfa, i Vanoni, che nella politica del nostro Paese hanno contato molto più di Pertini. Il quale fu certamente un uomo onesto, coraggioso e coerente con le proprie idee (anche perché ne aveva pochissime). Ma le stesse qualità si possono attribuire anche a coloro che ho nominato e che vi aggiungevano quella di una sagacia politica, di cui Pertini fu sempre sprovvisto. Nel suo stesso partito non esercitava alcun peso, era considerato un "compagno" di tutto affidamento, ma bizzarro, imprevedibile e sempre pronto a qualche colpo di teatro. Nenni, che gli voleva bene, mi disse una volta: "Io non sono certamente un uomo di cultura e alla cultura non attribuisco, per un politico, una decisiva importanza. Ma qualcosa so, qualche libro l'ho letto, anche grazie a Mussolini quando mi mandò al confino a Ponza. C'era anche Sandro. Lui, l'unica cosa che leggeva era «L'Intrepido». Il resto del tempo lo passava a giocare a briscola o a scopa coi nostri guardiani. Alle nostre discussioni sul futuro dell'Italia e del partito non partecipava quasi mai, e quando lo faceva, era solo per invocare il popolo sulle barricate, per lui la politica era solo quella". Lei mi chiederà come fece un uomo cosiì sprovveduto a diventare Presidente della Repubblica. Lo diventò appunto perché era sprovveduto, e come tale forniva buone garanzie di non interferenza agli uomini del potere vero, totalmente in mano ai partiti. Quello che forse nessuno aveva previsto, ma che si rivelò un particolare del tutto innocuo, era il suo demagogismo. Pertini aveva il fiuto del pubblico, e ne secondava alla perfezione tutti i vizi e vezzi. Dal video ogni tanto pronunziava terribili requisitorie contro la classe politica, come se lui non vi avesse mai appartenuto, come fece al momento del terremoto dell'Irpinia, quando accusò il parlamento di avere bocciato i disegni di legge per le misure di difesa in caso di emergenza, dimenticandosi che il Presidente della Camera che li aveva respinti era stato lui. Non perdeva occasione di dare spettacolo seguendo in lacrime tutti i funerali, baciando torme di bambini, e insomma toccando sempre quel tasto del patetico a cui noi italiani siamo particolarmente sensibili. I suoi alluvionali discorsi di Capodanno erano autentiche sceneggiate. Ma in sette anni di Presidenza, di sostanziale e sostanzioso fece poco o nulla. Della corruzione che dilagava o non si accorse, o preferì non accorgersi. Comunque, un segno del suo passaggio al Quirinale non mi sembra che lo abbia lasciato. Ce lo ricordiamo come un brav'uomo pittoresco e un po' folcloristico, che seppe far credere alla gente di essere un "diverso" dagli uomini politici, mentre invece era sempre stato uno di loro e non aveva mai vissuto d'altro che di politica. Non c'e' da vergognarsi di avere avuto un Presidente come Pertini. Ma non vedo cosa ci sia da ricordarne…
P.S. Io, invece, Caro Indro mi vergogno e come!
PPS. UNA CITAZIONE AUTENTICA DI PERTINI, APPARSA SU "L'AVANTI" : «Il compagno Stalin ha terminato bene la sua giornata, anche se troppo presto per noi e per le sorti del mondo. L’ultima sua parola è stata di pace. [...] Si resta stupiti per la grandezza di questa figura... Uomini di ogni credo, amici e avversari, debbono oggi riconoscere l’immensa statura di Giuseppe Stalin. Egli è un gigante della storia e la sua memoria non conoscerà tramonto». Pertini non ha mai ritrattato, neanche dopo aver saputo degli atroci crimini di Stalin. A voi ogni ulteriore considerazione.



[1] Paolo Granzotto- “Il Giornale”, 16/02/2008


Paolo GRANZOTTO


La mattanza delle foibe e le amnesie di Pertini

tratto da: Il Giornale, 16.2.2008.



In occasione della «Giornata del ricordo» che commemora i massacri delle foibe e l'esodo dei giuliani-dalmati mi sarebbe piaciuto rivedere le fotografie del nostro (?) presidente Sandro Pertini che, ai funerali di Tito, con aria affranta, toccava la bara del suo compagno. Firmato: sig. Caimati.





Baciava, caro Caimati: Pertini non si limitò a posare la mano sul feretro in segno di cordoglio. Lo baciò e così facendo baciò anche la bandiera jugoslava nella quale era avvolto. A dire la verità Pertini era solito sbaciucchiare bandiere e casse da morto e quindi quello che schioccò a Belgrado, in occasione dei funerali di Tito, potrebbe considerarsi normale routine. Siccome però non era la prima volta che con parole, gesti e fatti concreti l'allora presidente della Repubblica mostrava benevolenza nei confronti di chi, per ordine o per mano, aveva contribuito alla mattanza in Friuli e Venezia Giulia, viene da pensare il contrario. Non va infatti dimenticato che appena eletto presidente, si era nel 1978, Pertini concesse la grazia a quel Mario Toffanin, nome di battaglia «Giacca», che nel 1954 la Corte di Assise di Lucca condannò all'ergastolo (in contumacia, perché Botteghe Oscure riuscì a farlo riparare in Jugoslavia). Quel Toffanin che da capo partigiano della Brigata Osoppo si era aggregato, dandogli manforte, al IX Corpus titino responsabile delle foibe e che fu protagonista della strage di Porzûs. E che oltre all'ergastolo per i fatti di Porzûs avrebbe dovuto scontare anche trent'anni per sequestro di persona, rapina aggravata, estorsione e concorso in omicidio aggravato e continuato. Un criminale fatto e finito, dunque, al quale lo Stato, grazie alla famigerata «legge Mosca», elargiva persino la pensione.



Sandro Pertini gode di generale stima e talvolta, per fortuna solo talvolta, viene anche portato ad esempio. Con tutto il rispetto per i suoi ammiratori, resto però del parere che fu un mediocre presidente, assai poco indicato a rappresentare l'Italia e gl'italiani. Sul suo antifascismo ci si leva il cappello, ci mancherebbe altro; però me lo tengo ben calcato in testa alle sue gesta di antifascista a fascismo morto e sepolto. Quale fosse la caratura del suo reducismo antifascista è indicato chiaramente dal bacio al catafalco di Tito e dalla grazia a Toffanin, gesti che non possono non essere interpretati se non come espressione di consenso a quella particolare guerra partigiana, condotta con i metodi da macellaio, della Brigata Osoppo e del IX Corpus. Oltre tutto, che il condono della pena concesso a Toffanin non costituisse un misericordioso e circoscritto gesto di clemenza è confermato dal fatto che il beneficiato non ne approfittò per tornare in Italia dopo un quarto di secolo di latitanza. Restò in Jugoslavia (seguitando a percepire la pensione) fino alla morte, avvenuta nel gennaio del 1999.



Leggere anche


Nel contesto:

« Non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà »
(Sandro Pertini)

« I giovani non hanno bisogno di prediche, i giovani hanno bisogno, da parte degli anziani, di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo[1] »
(Sandro Pertini)


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