QUESTO E' L'ARTICOLO PER IL QUALE SALLUSTI E' STATO
ARRESTATO, ATTENTI A QUELLO CHE DITE GENTE, E A QUELLO CHE PENSATE, PERCHE' LA
DEMOCRAZIA NELLA QUALE CREDEVATE DI VIVERE ERA TUTTO UNO SCHERZO!
«Di
Dreyfus (Renato Farina), Libero, 18 febbraio 2007
Il giudice ordina la
morte, la legge più forte della vita
Una adolescente di Torino è stata
costretta dai genitori a sottomettersi al potere di un ginecologo che, non
sappiamo se con una pillola o con qualche attrezzo, le ha estirpato il figlio e
l’ha buttato via.
Lei proprio non voleva. Si divincolava. Non sapeva
rispondere alle lucide deduzioni di padre e madre sul suo futuro di donna
rovinata.
Lei non sentiva ragioni perché più forte era la ragione dei cuore
infallibile di una madre.
Una storia comune. Una bambina, se a tredici
anni sono ancora bambine, si era innamorata di un quindicenne. Quando ci si
innamora, capita: e così qualcosa è accaduto dentro di lei. Lei che era una
bambina capiva di aspettare un bambino. Da che mondo è mondo non si è trovata
un’ altra formula: non attendeva un embrione o uno zigote, ma una creatura a cui
si preparava a mettere i calzini, a darle il seno.
I genitori hanno
pensato: «È immatura, si guasterà tutta la vita con un impiccio tra i
piedi».
Hanno deciso che il bene della ñglia fosse: aborto. In elettronica si
dice: reset. Cancellare. Ripartíre da zero.
Strappare in fretta quel grumo
dal ventre della bimba prima che quell’Intruso frignasse, e magari osasse
chiamarli, loro tanto giovani, nonna e nonno. Figuriamoci.
Tutta ’sta fatica
a portare avanti e indietro la pupa da casa a scuola e ritorno, in macchina con
la coda, poi a danza, quindi in piscina. Ora che lei era indipendente, ecco che
si sarebbero ritrovati un rompiballe urlante e la figlia con i pannolini per
casa.
Il buon senso che circola oggi ha suggerito ai genitori: i figli
devono essere liberi, vietato vietare. Dunque, divertitevi, amoreggiate. Noi non
eccepiamo. Siamo moderni. Quell’altro che deve nascere però non era nei patti,
quello è vietato, vietatissimo. Accettiamo che tutti facciano tutto, ma non che
turbino la nostra noia.
Un magistrato allora ha ascoltato le parti in
causa e ha applicato il diritto – il diritto! – decretando: aborto coattivo.
Salomone non uccise il bimbo, dinanzi a due che se lo contendevano; scelse la
vita, ma dev’ essere roba superata, da antico testamento.
Ora la piccola
madre (si resta madri anche se il figlio è morto) è ricoverata pazza in un
ospedale.
Aveva gridato invano: «Se uccidete mio figlio, mi uccido
anch’io».
Hanno pensato che in fondo era sì sincera, ma poi avrebbero
prevalso in lei i valori forti delle Maldive e della discoteca del sabato sera,
cui l’avevano educata per emanciparla dai tabù retrogradi. Che vanno lavati con
un bello shampoo di laicità. Se le fosse rimasto attaccato qualche residuo
nocivo di sacralità, niente di male, ci vuole pazienza. E una vacanza caraibica
l’avrebbe riconciliata dopo i disturbi sentimentali tipici dell’età
evolutiva.
Non è stato così. La ragazzina voleva obbedire a qualcosa
scritto nell’anima o – se non ci credete – in quel luogo del petto o del
cervello da cui sentiamo venir su il nome del figlio. Ma no: non anima, né
petto, né cervello.
Le dava dei calci proprio nella sua pancia che le dava il
vomîto.
Una nausea odiosa, ma così rasserenante: più antica dell’effetto
serra, qualcosa che sta alla fonte del nostro essere. Si sentiva mamma. Era una
mamma.
Niente.
Kaput.
Per ordine di padre, madre, medico e giudice per
una volta alleati e concordi. Stato e famiglia uniti nella lotta.
Ci sono
ferite che esigerebbero una cura che non c’è. Qui ora esagero. Ma prima domani
di pentirmi, lo scrivo: se ci fosse la pena di morte, e se mai fosse applicabile
in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo e il
giudice.
Quattro adulti contro due bambini. Uno assassinato, l’altro
(l’altra, in realtà) costretto alla follia.
Si dice: nessuno tocchi Caino,
ma Caino al confronto avevale sue ragioni di gelosia. Qui ci si erge a far fuori
un piccolino e a straziare una ragazzina in nome della legge e del
bene.
Dopo aver messo in mostra meritoriamente questo scempio, il
quotidiano torinese la Stampa che fa? Mette pacificamente in lizza due pareri.
Sei per il Milan o l’Inter? Preferisci la carne o il pesce?
Non si riesce
a credere che ci possano essere due partiti. Sì, perché in fondo la vera notizia
è questa, e cioè che ci sia un’opinione ritenuta rispettabile e che accetti la
violenza più empia che esista: il costringere una madre a veder uccidere il
figlioletto davanti ai suoi occhi.
Non c’è neanche bisogno del
cristianesimo. Basta l’Eneide di Vlrgjlio, la saggezza classica. L’orrore è
quando i greci assassinano davanti agli occhi di Priamo il figlio.
Invece
qui già ci sono`due partiti. Quello pro e quello contro. È incredibile. Come se
fosse possibile fare un bel dibattito sul genocidio: uno si esprime a favore, il
secondo è perplesso. Ma che bella civiltà, piena di dubbi.
Come scriveva
Giovanni Testori, più battiti e meno dibattiti. Specie quando il battito di un
innocente è stato soffocato con l’alibi della libertà e della felicità di una
che non sa che farsene, se il prezzo è l’aborto.
Questo racconto
tenebroso è specchio dei poteri che ci dominano. Lasciamo perdere i genitori,
che riescono ormai a pesare solo come ingranaggi inerti.
Ma che la medicina
e la magistratura siano complici ci lascia sgomenti. Però a pensarci non è una
cosa nuova.
Nicola Adelfi propose, sempre sulla Stampa, l’aborto coattivo, in
grado di eliminare i fastidiosi problemi dicoscienza, perle donne di Seveso
rimaste incinta al tempo della diossina (2 agosto 1976).
Abbiamo udito
qualcosa di simile aproposito di lager nazisti e di gulag comunisti. Ma che
questo sia avvenuto in Italia e che abbia menti pronte a giustificarlo è
orribile.»
Franco Bechis:
Ora il direttore del Giornale è agli arresti domiciliari. Ma nella sua
vicenda sono decine le bugie circolate in queste settimane. Ecco come sono
davvero andati i fatti
Confesso subito: non so se avrei avuto lo stesso coraggio di Alessandro
Sallusti, che ha messo in gioco la sua libertà personale per porre una questione
di principio e di diritto Costituzionale che tutti fingono di ignorare. Ho tre
figli e quel che avrei fatto al posto suo sarebbe dipeso da loro. Ma non
comportarsi così avrebbe pesato anche a me, e sarebbe stato difficile guardarli
negli occhi dopo. In queste ore- come è accaduto in questi mesi- leggo e sento i
commenti più disparati sul caso, e noto che la maggiore parte nascono dalla
assoluta ignoranza dei fatti e pure delle sentenze pronunciate. Sia chiaro a
tutti che è assolutamente falso che Sallusti è stato arrestato per avere
pubblicato il falso diffamando un magistrato della procura dei minori di Torino,
il giudice Giuseppe Cocilovo. Non è così, e questa storia è davvero piena di
bugie. Sallusti finisce in carcere perchè in carcere si voleva fare finire lui e
nessun altro giornalista italiano. Gli si vuole fare pagare le sue opinioni su
altro, e il caso Cocilovo è un pretesto, il primo a disposizione. Anche la
reazione corale dei pm di Milano dopo che Edmondo Bruti Liberati aveva
legittimamente avocato a sé l'esecuzione di quella sentenza, stabilendo gli
arresti domiciliari, e poi la derisione sugli arresti dorati a casa Santanchè,
sono il segno di questo regolamento di conti con la persona di Sallusti, e nulla
hanno a che vedere con la vicenda giudiziaria. E' da questa vicenda giudiziaria
però che tutto nasce, e allora sarebbe bene raccontarla nei particolari reali,
lasciando da parte la leggenda e le bugie che sono circolate in questi mesi.
Ecco tutto quel che serve da sapere per giudicare.
1- Sallusti ha pubblicato una notizia falsa e diffamatoria
sul giudice Cocilovo che avrebbe costretto una ragazzina ad abortire contro la
sua stessa volontà? Falso. E' stata la Stampa a pubblicarla il giorno 17
febbraio 2007. Il giornale diretto da Sallusti, Libero, l'ha ripresa il giorno
successivo in due modi: un articolo di cronaca firmato da Andrea Monticone, in
cui si dava conto della versione pubblicata su La Stampa, ma anche di versioni
diverse fornite da ambienti della procura di Torino. E poi un commento certo
molto forte (ma si tratta di opinioni e idee) firmato Dreyfus. In nessuno dei
due articoli è nominato il giudice Cocilovo, che poi avrebbe querelato portando
all'arresto di Sallusti. L'articolo di cronaca di Libero, quello dove si
riportavano i fatti, è stato riconosciuto corretto dalla Cassazione, che ha
annullato le precedenti sentenze di condanna nei confronti di Monticone,
chiedendo di ricelebrare il processo di appello. I fatti dunque pubblicati quel
giorno con Sallusti direttore non sono falsi, anzi. La cronaca è stata
riconosciuta equilibrata e veritiera dagli stessi giudici che hanno condannato
Sallusti. La condanna quindi riguarda esclusivamente il commento di Dreyfus,
quindi delle opinioni. Un direttore responsabile è stato condannato al carcere
(poi tramutato in arresti domiciliari) per non avere controllato l'opinione di
suoi collaboratori. La Stampa è stata querelata? No, da nessuno. Ha rettificato
la notizia? No, il giorno successivo, quello in cui sono usciti i due articoli
di Libero, ha pubblicato la versione della procura solo all'interno (molto al
fondo) di un nuovo articolo sul caso, titolato per altro in modo da rafforzare
la notizia della ragazzina costretta all'aborto. Tanto è che il 21 marzo, tre
giorni dopo, la Stampa ha dovuto pubblicare una ulteriore rettifica questa volta
inviata formalmente dal presidente del Tribunale dei minori, Mario Barbato. Con
grande evidenza? No: nella rubrica delle lettere, confusa fra decine di
altre.
2- Sallusti non ha mai rettificato la notizia. Questo fatto
in sé è vero. Su Libero non è apparsa alcuna rettifica di una notizia che per
altro non Libero aveva dato, ma La Stampa. Il giudice del tribunale dei minori
ha inviato una rettifica alla Stampa, ma a Libero no. Quale rettifica doveva
essere pubblicata, visto che nessuna rettifica è mai stata formalmente inviata
da nessuno? Ricordo poi che l'articolo di cronaca inizialmente incriminato, è
stato assolto in Cassazione, ritenuto corretto e quindi non bisognoso di
rettifica. La procura di Torino aveva sì fatto filtrare (riportata da “ambienti
della procura”) una rettifca alla notizia della Stampa già la sera stessa della
pubblicazione, ma solo sulla agenzia Ansa a cui Libero non era abbonato. Quella
rettifica- per altro ufficiosa- non poteva essere a conoscenza di Sallusti.
3- Il caso Farina. Sallusti è stato
condannato per non avere vigilato sulle idee di Dreyfus. Trattandosi di
pseudonimo, si è detto che la firma è stata atribuita al direttore responsabile,
quindi allo stesso Sallusti. Questo non è vero. Dreyfus era Renato Farina, che
lo ha dichiarato pubblicamente dopo la condanna. Ma che Dreyfus fosse Farina lo
sapevano anche i giudici di Cassazione, visto che gli avvocati di Sallusti lo
avevano dichiarato e comprovato nel loro ricorso, quindi tutti sapevano
benissimo chi aveva scritto quelle opinioni ritenute diffamatorie.
4- Il caso Taormina. Di questo non ha
parlato nessuno, perchè tutti sputano giudizi e sentenze, ma è faticoso andare a
leggere gli atti e informarsi. Secondo la sentenza della Cassazione e perfino
secondo i giudici di secondo grado, la colpa di Sallusti non sarebbe solo quella
di non avere rettificato volontariamente la prima versione dei fatti a cui
faceva riferimento il commento di Dreyfus-Farina (quella de La Stampa). Ma di
avere messo in piedi una campagna stampa contro il magistrato Cocilovo, anche se
questo ultimo mai è stato nominato su Libero. Una campagna stampa? Sì', la
Cassazione scrive che circa una settimana dopo la pubblicazione di Dreyfus – il
23 marzo- su Libero c'è stato “un prosieguo della campagna di offuscamento dei
soggetti, a vario titolo intervenuti nella vicenda, attraverso la riproposizione
da parte di un noto avvocato, della assenza del consenso della minorenne”. Quel
noto avvocato è Carlo Taormina, che in effetti in una sua rubrica settimanale
che gli aveva dato Vittorio Feltri su Libero molti giorni dopo prende per buona
la vecchia versione de La Stampa e critica il comportamento di quell'anonimo
magistrato. Secondo la Cassazione proprio l'articolo di Taormina dimostra
l'intenzione di Sallusti di compiere una “crociata contro un giudice dello Stato
italiano”. Questo particolare a dire il vero era ignoto anche allo stesso
Sallusti, con cui ho parlato dopo che erano uscite le motivazioni della
Cassazione. Non aveva letto all'epoca la rubrica di Taormina (che mandava alla
segreteria di Feltri e veniva pubblicata di rigore), e soprattutto non sapeva
nemmeno che proprio quella rubrica è il fondamento della sua condanna. Due
articoli a due settimane di distanza, allora era una campagna stampa volontaria
contro il giudice Cocilovo.
Proprio il caso Taormina però dimostra come la decisione su Sallusti sia
esclusivamente ad personam, un regolamento di conti e non un caso di giustizia.
Quell'articolo è stato fondamentale nella condanna di Sallusti? Sì, lo dice la
Cassazione. Taormina è mai stato querelato dai magistrati di Torino? No, mai.
Qualcuno ha inviato rettifica per contraddirlo? No, mai. Lui non interessava ai
magistrati di Torino. Quella che volevano era la testa di Sallusti. E questa
hanno ottenuto nel silenzio complice e interessato di chiunque dovrebbe avere a
cuore l'articolo 21 della Costituzione.
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