Tutto deve essere unificato, globalizzato. Il progetto NWO non include identità culturale o statale .
Loretta Napoleoni | 29 settembre 2013:
Siamo
al quarto anno di recessione dal 2008 (…)
(…) C’è
chi sostiene che si potrebbero vendere i beni pubblici ancora in nostro
possesso: se escludiamo beni come l’acqua che un referendum ha sancito di
proprietà esclusivamente pubblica, ci sono rimasti solo caserme e
monumenti (beh, ci sarebbero ancora anche
belle fette di ENI, Finmeccanica, spiagge, montagne, isole … Er)
Quasi tutti i gioielli di famiglia industriali se ne sono andati
nel 1992, per far fronte alla crisi della lira. Naturalmente quella svendita, gestita dall’allora
direttore generale del Tesoro, Mario Draghi, non portò, come era stato promesso, al miglioramento dei conti
pubblici.
Nel 1994 il debito pubblico ammontava a 1.771.108
miliardi di lire, il gettito generato dalle privatizzazioni per il triennio 1993-1995
fu di appena 27.000 miliardi, meno dell’1,5 per cento del
debito pubblico.
Piuttosto i saldi all’italiana produssero lo smembramento
dell’industria pubblica a vantaggio di élite straniere ed italiane, oggi
finalmente abbiamo capito che ha contribuito al processo di
deindustrializzazione del paese che tanto preoccupa la Commissione Europea. Ed
è bene rinfrescarci la memoria su come furono gestiti quei saldi per evitare di
doverne pagare il conto ancora una volta noi.
Dal
1992 al 2002 il Tesoro gestì direttamente operazioni di privatizzazione per un
controvalore di circa 66,6 miliardi di euro. A questa cifra vanno però aggiunte
le privatizzazioni gestite dall’IRI (sempre sotto il coordinamento del Tesoro),
per un controvalore di circa 56,4 miliardi di euro, le dismissioni realizzate
dall’ENI (5,4 miliardi di euro) e la liquidazione dell’EFIM (440 milioni di
euro). Si tratta di cifre molto consistenti, da cui è facile intuire il valore
e l’importanza dei beni venduti, o per meglio dire “svenduti”.
Per
capire quanto valgono questi stessi beni che non ci appartengono più possiamo
comparare gli incassi delle privatizzazioni con i valori delle rivendite degli
stessi da parte dei privati o i valori attuali.
Il gruppo Benetton si aggiudicava per 470 miliardi GS
Autogrill che poi ha rivenduto ai francesi di Carrefour GS per 10 volte tanto.
Nel 1992 la cessione del 58 per cento del Credito
italiano produsse ricavi lordi per 930 milioni di euro, nel 2002 Unicredito
italiano capitalizzava 26.593 milioni di euro.
Tra il 1994 e il 1996 la cessione del 36,5 per cento
dell’IMI rese 1.125 milioni di euro, le successive 3 tranche, pari al 19
e al 6,9 per cento, rispettivamente 619 e 258 milioni di euro,nel 2002 Imi-Sanpaolo capitalizzava 16.941 milioni di
euro.
Un caso
a parte è poi rappresentato dal Banco di Napoli: quel 60% che lo Stato ha
venduto alla BNL per 32 milioni di euro (una volta ripulito delle perdite e dei
crediti inesigibili con 6.200 milioni di euro di denaro pubblico), viene
rivenduto dalla BNL, a distanza di pochi anni, per 1.000 milioni di euro. È
anche vero chela BNL lo ha risanato completamente, ma la differenza tra i due
valori è enorme. In ogni caso perché questo risanamento non poteva avvenire per mano dello Stato?
Perché è gestito da incompetenti e da pirati.
Alle
cifre di vendita da parte del tesoro vanno aggiunte le commissioni per i
collocatori di borsa, banche che compongono il sindacato di collocamento e
altri consulenti, così come le spese di registrazione e listing sui mercati
azionari, spese per adempimenti CONSOB, SEC eccetera. Questi costi nel corso
degli anni sono diminuiti, ma si aggirano comunque tra il 2 e il 3 per cento
dell’ammontare totale del ricavato. Una fetta consistente di questo denaro,
circa l’1 per cento, l’hanno poi incassata le maggiori investment banks
anglosassoni, come J.P. Morgan, Goldman
Sachs, Morgan Stanley, Credit Suisse, First Boston, Merrill Lynch e
così via, per la loro attività di consulenza.
Il tutto senza ovviamente rischiare in proprio neanche un dollaro, e senza
dover neppure sostenere una gara pubblica per l’affidamento dell’incarico.
La
seconda fase del processo di privatizzazione riguarda invece le banche di
diritto pubblico, e include la
privatizzazione de
facto della Banca d’Italia i cui
azionisti fino ad allora erano banche italiane di diritto pubblico. Dal 1992 la proprietà passa nelle mani di privati
spesso addirittura esteri, che hanno rilevato quote sostanziose delle banche
italiane come BNP Paribas, Crédit agricole, Banco Bilbao, Allianz eccetera,
il tutto in palese violazione dell’articolo 3 del vecchio statuto, sostituito
soltanto nel 2006.
Le
conseguenze più importanti di questa decisione riguardano la creazione di moneta, che dalle mani dello Stato –
cioè noi cittadini – passa a quelle di soggetti esteri, a questi ultimi
viene virtualmente ceduta una fetta della nostra sovranità nazionale.
Completate
le privatizzazioni comincia il gioco delle sedie: alcuni personaggi chiave
lasciano il settore pubblico e vanno a lavorare per le grandi banche straniere
che hanno guidato la vendita del patrimonio nazionale sul mercato: Mario Draghi diventa vicepresidente della Goldman
Sachs e Vittorio Grilli, ai tempi vicedirettore generale del Tesoro con delega
alle privatizzazioni, viene assunto al Credit Suisse.
Qualcuno
ha scritto che ciò che è successo in Italia
assomiglia allo smembramento delle aziende di stato della vecchia Unione
Sovietica, ed in parte il parallelo è giusto. Ma gli oligarchi russi se ne
impossessarono, i manager ed i politici italiani le hanno smembrate per regalarle
ai loro amici stranieri in cambio di posti di lavoro all’estero.
Incollato
da <http://www.rischiocalcolato.it/2013/09/napoleoni-saldi-allitaliana-un-breve-excursus-storico-degli-ultimi-20-anni.html>
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